Da diciotto mesi a 4 anni, questa la condanna definitiva per Andrea Iannone, che dovrà rimanere “fermo ai box” fino a fine dicembre 2023, di fatto un ritiro dalle gare motociclistiche, poichè il pilota di Vasto, alla fine della squalifica avrà 35 anni.
La squalifica di Iannone arriva dopo il ricorso della WADA (l’agenzia mondiale antidoping) contro la sentenza di primo grado di aprile 2020, quando al pilota venne inflitta una pena minore da scontare in 18 mesi, a causa delle presenza di drostanolone, uno steroide androgeno esogeno anabolizzante presente nella lista proibita 1.1.a della WADA e le cui tracce (pari a 1,150 nanogrammi per millilitro) erano state riscontrate nelle urine del pilota dell’Aprilia durante il controllo successivo al GP della Malesia di MotoGP del 3 novembre 2019.
La difesa del pilota ha puntato tutto sulla possibile contaminazione alimentare, probabilmente causata dal cibo consumato nelle 5 settimane trascorse in Asia, fra ottobre e novembre 2019, per la disputa delle gare di quel periodo.
La tesi aveva anche trovato un riscontro tecnico grazie al test del capello, eseguito il 9 gennaio presso il Centro Antidoping Bertinaria di Torino, che in pratica certificava una sorta di tracciato storico del pilota, rilevando la sua negatività alla sostanza da settembre 2019 in avanti. Questo elemento di fatto renderebbe incompatibile la presenza di drostanolone come sottoposizione a un ciclo di anabolizzanti, poiché per sua natura si tratta di un ciclo lungo e non occasionale, e compatibile invece con un’assunzione involontaria da cibo trattato.
Nonostante questi punti a favore, il TAS di Losanna non ha ritenuto convincenti le motivazioni della difesa, che non ha saputo (o potuto) stabilire né il tipo preciso di carne consumata, né l’origine di questa carne. Inoltre è stato riscontrato che né Iannone né i suoi esperti sono stati in grado di stabilire specificamente che c’è stato un problema di contaminazione alimentare da carne in Malesia.