Il Motorsport è ad appannaggio di milionari e figli d’arte. Diverse squadre hanno puntato sui piloti paganti che hanno stentato ad affermarsi nel circus.
La categoria regina del Motorsport non ha mai avuto una griglia fatta di soli talenti naturali. La meritocrazia in F1 arriva con il riscontro cronometrico, ma per entrarci servono valigie piene di soldi. Nella storia recente della F1, eccezion fatta per Hamilton, gli ultimi due campioni del mondo sono stati due figli d’arte dalle grandi possibilità economiche, come Verstappen e Rosberg.
I vari Leclerc, Norris, Sainz sono tutti dei privilegiati. Una condizione economica forte permette a dei giovanissimi driver di godersi il viaggio verso l’Olimpo senza particolari pressioni, ma senza un talento smisurato non si arriva da nessuna parte.
Gli esempi lampanti, in tal senso, sono i vari Mazepin e Latifi che, figli di magnati, non hanno raccolto i risultati sperati, risultando delle meteore. Il problema è che squadre di seconda fascia, come Haas e Williams, ma anche la Sauber con Zhou hanno avuto bisogno di scendere a compromessi per restare in vita.
Con l’addio degli sponsor tabaccai la F1 ha cambiato faccia. Non vi sono state dinamiche positive per i team della seconda metà della griglia, pressati da prezzi in crescita e da budget sempre più risicati. Ecco perché è stato introdotto il budget cap e perché tanti pay driver hanno trovato spazio nel Motorsport attuale. Senza grandi chance di arrivare in F1 dalle categorie minori con valigie piene di soldi molte squadre non potrebbero resistere nella morsa delle spese attuali senza i piloti paganti.
La storia del circus dovrebbe insegnare che non è mai un buon affare. Roland Ratzenberger, driver austriaco della Simtek, si finanziò le prime gare del 1994, trovando una morte spaventosa ad Imola nel 1994, durante le qualifiche del Gran Premio di San Marino, a poche ore dalla scomparsa di Ayrton Senna. In altri casi non vi è stato un dramma, ma le esperienze di Mazepin e Latifi saranno ricordate per le dinamiche negative che hanno vissuto in pista. Ecco i circuiti più ostici in calendario.
I pay driver più famosi della storia della F1
Nello scacchiere moderno del circus il driver più “raccomandato” corrisponde all’anagrafe al nome di Lance Stroll. Quest’ultimo, dopo una prima esperienza in Williams con qualche acuto, ha corso con Racing Point e poi Aston Martin. Suo padre Lawrence, tycoon canadese, ha scelto di ribrandizzare la Scuderia, garantendo un posto fisso a Lance. I suoi risultati negativi sono stati, ulteriormente, manifestati dal confronto impietoso con due campioni del mondo come Vettel e Alonso.
Altro caso eclatante è quello di Guanyu Zhou, primo pilota cinese nella storia della F1, utile al brand del Biscione anche per aprirsi al mercato del Dragone Rosso. Antonio Giovanazzi, campione a Le Mans con la Ferrari, ci ha rimesso il posto.
I pay driver peggiori della storia sono stati Pedro Paulo Diniz, che corse con la Forti e con la Sauber alla fine degli anni ‘90, ma anche il driver malese Alex Yoong, in forze alla Minardi nel 2002, o anche Ricardo Rosset. Quest’ultimo, come Mazepin in Haas, non ha mai conquistato punti.
La lista di piloti paganti è piuttosto lunga, ma è destinata a crescere a causa delle dinamiche della moderna F1. Sempre meno giovani avranno la possibilità di emergere e la meritocrazia ha lasciato spazio ad un concetto di business che tenderà a macchiare, sempre più, il mondo delle corse.