Le moderne Power Unit possono raggiungere dei picchi prestazionali impressionanti, ma quanto durano? I numeri non mentono.
La categoria regina del Motorsport con il lancio delle prime Power Unit ibride nel 2014 ha raggiunto risultati spettacolari in termini di affidabilità. In passato capitava spessissimo che i driver non concludessero le corse a causa di problemi tecnici. Le fumate bianche erano piuttosto comuni e non riguardavano solo i team minori. Vi erano più variabili in pista, ma le avarie tecniche dei motori termici erano una costante.
Sul piano della spettacolarità le gare sono diventate più scontate. La F1 è sempre stata ciclica ma la supremazia della Mercedes con 8 titoli costruttori consecutivi nessuno mai l’aveva toccata. Inoltre, la Ferrari non ha più lottato sino alla fine per un titolo mondiale. L’ultimo campionato, infatti, combattuto sino all’ultimo atto è stato quello con Fernando Alonso nell’abitacolo di una Rossa nel 2012. Con il rilancio delle auto ad effetto suolo sempre con PU ibride V6 da circa 1000 CV di potenza complessiva si è aperto un nuovo capitolo, caratterizzato dalle vittorie di Max Verstappen sulla RB Racing motorizzata Honda.
Ad oggi in F1 vi sono solo quattro produttori di motori. Oltre alla Honda che dal 2026 sarà al fianco dell’Aston Martin, rimangono Ferrari, Mercedes e Renault. Tra due anni arriveranno anche i tedeschi di Audi che vorranno cavalcare l’hype delle nuove regole per elevarsi ai massimi livelli nel circus. Non sarà facile combinare performance ed affidabilità, sin da subito, e a tal proposito l’esempio della Honda è lampante. La casa di Tokyo ha avuto bisogno di molti anni, in collaborazione con McLaren, per trovare la giusta competitività in F1. Grazie alla partnership con Red Bull sono arrivati risultati di spessore che hanno addirittura oscurato quelli storici registrati con la coppia Senna-Prost.
Le auto ad effetto suolo hanno i motori più potenti e resistenti di sempre. Le Power Unit delle wing car sono, secondo i dati diffusi in rete, capaci di coprire una distanza massima di circa 2500 km senza avere cali di potenza o avarie tecniche. Si tratta di motori irrefrenabili. Pensate che sulle vetture di inizi anni 2000, come le Ferrari dell’era vittoria di Michael Schumacher, si raggiungeva un chilometraggio massimo di circa 350km, e i team erano soliti cambiare motore tra le qualifiche e il Gran Premio per ridurre al massimo il rischio di rotture. Ecco i progressi della Ferrari SF-24.
Oggi i piloti devono anche amministratore alcuni parametri in gara, attraverso modalità di guida specifiche, per allungare la vita dei motori. Ne possono sostituire 4 nell’arco di un campionato. Non c’è più l’esigenza di spingere dal primo all’ultimo giro dei GP, anche a causa della mancanza dei rifornimenti di benzina. La F1 è cambiata, ma almeno le PU sono diventate più solide che mai.
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